Il Fantasma di Pepper - Edoardo Lazzari

Nel 1890, John Henry Pepper pubblica The True History of the Ghost: And All About Metempsychosis, un testo a metà strada tra racconto illusionistico e trattato scientifico, in cui descrive il funzionamento del suo celebre dispositivo, il Pepper’s Ghost. Questo apparato consente di proiettare “l’immagine riflessa di una figura luminosa e nascosta, resa visibile grazie a un vetro inclinato di 45 gradi”, dando vita a un’apparizione spettrale che si manifesta senza mai essere realmente presente. Il fantasma, spiega Pepper, “può apparire e scomparire a piacimento, variando l’intensità della luce sulla figura nascosta”.
Questa tecnologia ottocentesca, solo in apparenza obsoleta, rivela invece una sorprendente attualità: la performance come mediazione di un’assenza. Il Fantasma di Pepper, che dà il titolo a questa serie di azioni performative, non è quindi soltanto una citazione storica, ma una figura teorica e politica, un’allegoria della presenza come costruzione e della visibilità come negoziazione tra chi appare, chi fa apparire e chi guarda. È, potremmo dire, una soglia attiva tra dispositivo e desiderio, tra macchina e affezione.

Il dispositivo del Pepper’s Ghost, nella sua apparente semplicità ottica, agisce oggi come figura metodologica e poetica, un trait d’union tra ricerche che interrogano il fantasmatico attraverso modalità diverse di emersione effimera e ritorno del rimosso. In questo senso, il progetto si inserisce anche in un più ampio e crescente interesse del campo delle arti performative per i paradigmi della hauntology, intesa come modalità di pensiero e creazione che accoglie l’irruzione del non detto, l’eco del non più e le tracce di futuri mancati. In molti dei lavori presentati, la soglia percettiva si sposta dal visibile al sonoro, dal corpo alla traccia, dal gesto alla sua eco. Alcunə artistə tracciano percorsi di haunting – nel senso dato da Avery Gordon: “la modalità attraverso cui ciò che è stato oppresso, cancellato o non detto ritorna sotto forma di fantasma sociale”. Altrə lavorano sulla trasmissione di una memoria implicita, residua, o sull’emersione di presenze sonore che si insinuano nello spazio come voci, interferenze, evocazioni.

Il progetto nasce dal periodo di fellowship che Edoardo Lazzari ha svolto a Scuola Piccola Zattere negli ultimi sei mesi, durante il quale si sono intrecciati incontri, studi e traiettorie condivise. È il frutto di un confronto diretto con pratiche e teorie emerse in questo tempo, tra cui anche la ricerca dell’artista Tomaso De Luca e la sua mostra Standards of Living (2024), che ha rappresentato un importante punto di risonanza per molte delle questioni qui sollevate. Da questo contesto prende forma un’azione curatoriale orientata a far emergere affinità poetiche e risonanze formali tra artistə locali e non, sostenendo pratiche che, pur attraverso linguaggi differenti, interrogano la soglia tra visibile e invisibile, tra gesto e memoria. Prosegue così una linea di lavoro che mira a valorizzare e amplificare la produzione artistica locale non come scena chiusa, ma come campo di relazioni in espansione.

Il fantasma – come immagine, sintomo, modalità di percezione – diventa proposta curatoriale: aprire uno spazio in cui l’assenza possa assumere una forma, una durata, una possibilità di relazione.